Il Cinema Futurista


Non si può parlare di  cinema futurista, di una teoria e di una pratica, d’una storia e d’una sperimentazione tecnico-linguistica che consentano di definire un campo preciso.
Non esiste, non è mai esistito un cinema futurista. Il solo film realizzato nel 1916 da Martinetti, Balla, Corra, Ginna Settimelli, “Vita futurista”,è andato perduto, ha avuto pochissimo pubblico e un’influenza scarsissima.
E’ innegabile invece che fra il 1909 e il 1916, il cinema emerge nei numerosi manifesti teorici come “presenza” tecnica e formale nella società contemporanea, come emblema stesso della “simultaneità”, della “velocità”, de “ritmo” di cui la vita contemporanea è impregnata.
Il cinema non compare,Nel Manifesto del Futurismo (1909),ma Martinetti ne avverte la presenza, quando scrive, per esempio: “Non vogliamo esaltare il movimento aggressive l’insonnia febbrile, il passo di corsa, il salto mortale”, o quando aggiunge: “Noi affermiamo che la magnificenza del mondo si arricchita di una bellezza nuova: la bellezza della velocità”.
Anche i linguaggi artistici tradizionali, dunque, per Marinetti possono rinnovarsi cogliendo e rappresentando, come cinematografo, il dinamismo del mondo contemporaneo.
Interessante anche l’osservazione del nuovo mezzo tecnico in documenti come il Manifesto tecnico della letteratura futurista (1912, in cui si legge: “Il cinematografo offre la danza di un oggetto che si divide si ricompone senza intervento umano. Ci offre anche lo slancio a ritroso di un nuotatore i cui piedi escono dal mare e rimbalzano violentemente sul trampolino. Ci offre infine la corsa d’un uomo a 200 chilometri all’ora. Sono altrettanti movimenti dell materia, fuori dalle leggi dell’intelligenza quindi di una essenza più significativa”.
Nel “ Il Teatro di Varietà “(1913) il cinema viene descritto come un mezzo per dare un“numero incalcolabile di visioni e di spettacoli irrealizzabili”. Sebbene dunque il rapporto fra i futuristi e il cinema non sia affatto superficiale,essi rimangono spettatori curiosi e partecipi di un nuovo mezzo di comunicazione che però non adotteranno pienamente.
L’interesse per il cinema, e per altre forme di arte e di spettacolo popolare (ad esempio il teatro di varietà), rimane generico, una delle vie per opporre un’arte “simultaneista”, al “passatismo”. all’insegna appunto del “futurismo”. Le ricerche stilistiche dei futuristi non tendono mai a ricercare nuovi mezzi espressivi, se non nell’ambito della tradizione artistica consolidata, naturalmente per sovvertirla. (eccezione soltanto l’ arte dei rumori di Russolo ) .
Il cinema offre degli stimoli, come del resto la società in evoluzione, che si traducono in spunti per la pittura o la scultura.
E’ un po’ come dire che esso sia equiparato “allo automobile”, una macchina, e come tale da elogiare. Ed è, per essi, più una fonte di godimento “antiestetico”, di sorpresa, di provocazione (come lo sarà in gran parte per i surrealisti), che non una tecnica da apprendere e speri­mentare.
Da questo punto di vista, di repertorio di si­tuazioni e immagini inconsuete, di montag­gio di elementi eterogenei, di frantumazio­ne del tempo e dello spazio (e del corpo dell’attore), il cinema, in particolare il cinema comico di allora, è considerato intrinsecamente “futurista”. Si pensi soltanto, in ambito italiano, ad alcuni film comicogrotteschi di André Deed (Cretinetti), nella fattispecie a Cretinetti e le donne (1910) con la destrutturazione del personaggio princi­pale, che viene smembrato come un fantoc­cio (I’”uomo moltiplicato” di Marinetti). Si pensi a certi piccoli film di Ferdinand Guil­laume (Polidor) con la loro comicità assur­da, quasi surreale. Si pensi soprattutto ad Amore pedestre (1914) di Marcel Fabre (già interprete, come Robinet, d’una serie di film comici), che pare, col suo gioco eroticogrottesco di gambe e di piedi, un microdramma futurista. Film e autori che influen­zano certamente Marinetti e i futuristi e di cui si trovano tracce in certi testi teatrali “sintetici” e nello stesso manifesto Il teatrofuturista sintetico (1915) firmato da Marinetti? Settimelli e Corra, in cui si può leggere: “Con questa brevità essenziale e sinteti­ca, il teatro potrà sostenere e anche vincere la concorrenza col Cinematografo”. Si ri­cordi inoltre che Marinetti e Corra hanno in progetto allora un film intitolato Le mani, chiaramente “sintetico”, e che Marinetti, nel microdramma Le basi, si ispira evidentemente ad Amore pedestre. C’è insomma un interscambio di esperienze e di suggestioni, di intuizioni e di realizzazioni, tra futuri­smo e cinema, una sorta di filo rosso che le­ga insieme le molteplici manifestazioni arti­stiche, dominando il campo dell’avanguar­dia nel corso degli anni dieci.
In questa prospettiva trovano poco spazio sia gli esperimenti di “cinepittura” o di “musica cromatica” dei fratelli Corradini (Arnaldo Ginna e Bruno Corra), sia la “fo­todinamica futurista” di Anton Giulio Bra­gaglia, sia i film che quest’ultimo realizza nel 1916 e 1917 (Thais e Perfido incanto). E tuttavia, tanto gli uni quanto gli altri rien­trano nel più generale quadro di riferimento entro il quale si muove il cosiddetto cinema futurista, nel senso che compongono un in­sieme di tendenze, tentativi, sperimentazio­ni, proposte, che trovano un’eco significativa nel manifesto La cinematografia futurista (1916) firmato da Marinetti, Corra, Setti­melli, Ginna, Balla e Chiti, e nel coevo film Vita futurista citato, che di quel manifesto è il corrispettivo sul piano tecnicorealiz­zativo.
I fratelli Corradini realizzano nel 191012 alcuni brevi film “fatti a mano”, cioè utiliz­zando direttamente la pellicola non impres­sionata per comporre una sinfonia visiva di forme e colori. Tali opere, descritte minu­ziosamente nel saggio Musica cromatica di Bruno Corra pubblicato nel volume Il pastore, il gregge e la zampogna (Bologna, 1912), sono andate purtroppo perdute, ma la loro descrizione consente di definirle “film astratti”, in quella direzione di ricerca che si svilupperà negli anni seguenti in Francia e in Germania nell’ambito dell’arte astratta e della pittura cinetica. Quanto a Bragaglia, il suo Fotodinamismo futurista (1 ediz. 1911, 2a e 3a ediz. 1913), estremamente in­teressante per le ricerche fotografiche in esso contenute, si pone in esplicita antitesi al cinema come “arte del movimento”, contestandone anzi le possibilità estetiche. Il suo film Thais infine (di Perfido incanto si sono perse le tracce) non esce dai limiti del gusto dannunziano allora imperante, se non per talune soluzioni scenografiche di indubbia suggestione e modernità, grazie alla collabo­razione di Enrico Prampolini.
Anche Vita futurista è andato perduto, ma la descrizione pubblicata su L’Italia futurista (1 ottobre 1916) ne fornisce un riassunto di notevole interesse. Il film è articolato in una serie di episodi, scene e scenette interpretate dagli stessi futuristi e dai loro amici, mescolando varie tecniche di ripresa e vari trucchi cinematografici. La presentazione recita: “Liberiamo il cinematografo dalla sua schiavitù di semplice riproduttore della realtà, dai confini di una fotografia movi­mentata, e innalziamolo ad arte, cioè a mez­zo d’espressione: pittura, scultura, architet­tura, letteratura ecc.”. La descrizione indica, fra l’altro, i seguenti episodi: “Come dorme un futurista”, “Ginnastica mattuti-
na”, “Colazione futurista”, “Ricerche d’i costumi di A. Exter
spirazione Dramma d’oggetti”, “Declama­zione futurista”, “Discussione fra un piede, un martello e un ombrello”, “Passeggiata futurista”, “Lavoro futurista Quadri deformati idealmente ed esteriormente”. E insomma un campionario di possibilità filmiche, forse più interessante per le indica­zioni di destrutturazione formale in esso contenute (con anticipazioni della poetica dadaista), che per le questioni linguistiche affrontate e risolte. Un campionario che solo in parte realizza le indicazioni contenute nel manifesto La cinematografia futurista pubblicato nel medesimo anno.
E quest’ultimo il solo testo a cui rifarsi per affrontare il discorso sul cinema futurista. Ed è un testo al tempo stesso rivelatore e anticipatore, rispetto all’avanguardia cine­matografica posteriore, ma anche generico e velleitario. Rivendicata la più assoluta liber­tà per il nuovo mezzo espressivo, vi si indi­viduano gli elementi e le possibilità autenti­camente futuriste, nella convinzione che “il cinematografo, essendo essenzialmente visi­vo, deve compiere innanzi tutto l’evoluzio­ne della pittura: distaccarsi dalla realtà, dalla fotografia, dal grazioso e dal solenne” e diventare “antigrazioso, deformatore, im­pressionista, sintetico, dinamico, parolibe­ro”. Date queste premesse, il manifesto elenca quelli che saranno i caratteri del cinema futurista, dalle “analogie cinematografate” alla “simultaneità e compenetrazione di tempi e luoghi diversi cinematografate”, dalle “ricerche musicali cinematografate” ai “drammi d’oggetti cinematografati”, dalle “ricostruzioni irreali del corpo umano cine­matografate” alle “equivalenze lineari, pla­stiche cromatiche ecc. di uomini, donne, av­venimenti, pensieri, musiche, sentimenti, pesi, odori, rumori cinematografati” e così via, per concludere: “Scomponiamo e ri­componiamo così l’Universo secondo i no­stri meravigliosi capricci”.
Come si è visto, queste intenzioni program­matiche sono rimaste in gran parte sulla car­ta: il cinema futurista non è mai nato veramente. Tuttavia le varie correnti dell’avan­guardia cinematografica successiva attingono abbondantemente, in maniera diretta o indiretta, a questa sorgente tumultuosa e un poco torbida. Se il cinema futurista ha avu­to un’esistenza precaria e casuale, l’influen­za che il futurismo e i suoi manifesti hanno avuto sull’avanguardia cinematografica è invece determinante, decisiva, assoluta.
Basti pensare, da un lato, a certe ricerche del cinema d’avanguardia in Germania negli anni immediatamente seguenti alla prima guerra mondiale; dall’altro, agli esperimenti pratici e alle formulazioni teoriche di alcuni cineasti sovietici, per tacere della diretta in­fluenza del futurismo italiano sul cubofutu­rismo (v.) russo del film Drama v kabare fu­turistov No. 13 (Dramma nel cabaret dei futu­risti n. 13) di Kasjanov o degli interventi di Majakovskij, di Larionov e di altri in campo cinematografico. In Germania il lavoro di due pittori dadaisti come Hans Richter e Viking Eggeling che tentano la strada del ci­nema astratto con alcuni film di indubbio valore come Rhythmus 21 di Richter e Dia­gonal Symphonie di Eggeling, può certamen­te essere collegato, sia pure indirettamente al manifesto della cinematografia futurista e ai primi esperimenti dei fratelli Corradini, e comunque rientra in quelle ricerche dadai­ste che affondano le loro radici sul terreno
;già arato dal futurismo. In Unione Sovietica, i primi scritti di Kulesov e le sue prove li montaggio, e più ancora i programmi di )ziga Vertov e i suoi esperimenti di “ci­teocchio”, nonché le ricerche teoriche e pratiche del primo Eisenstein, si collocano sul versante della frantumazione dei linguaggi tradizionali e di quella scoperta della temerità” e della “simultaneità” che l’avanguardia cinematografica sovietica aveva ereditato dal futurismo italiano, attraverso il cubofuturismo russo. Né andrebbero sottaciute talune correnti del cosiddetto “impressionismo” cinematografico francese e tutto il movimento dell’avanguardia parigi­na, dal Léger di Ballet mécanique al ClairPicabia di Entr’acte, al Man Ray di Retour i la raison fino al cinema surrealista e alla “sinfonia visiva”, che indubbiamente risentono, probabilmente attraverso altri canali culturali e artistici, delle formulazioni programmatiche del manifesto di Marinetti e dei futuristi italiani.
E tutto un vasto campo di ricerche e speri­mentazioni che non possono ovviamente essene confuse l’una con l’altra o raggruppate entro un unico contenitore. Alla base del la­voro di questi e di altri artisti non c’è soltanto la lezione del futurismo italiano, né si possono rintracciare soltanto intenti provo­catori o sovvertitori o puramente ludici o, in ogni caso, accomunabili ad un medesimo principio informatore. Tuttavia non v’è dubbio che, almeno sul piano della circola­zione delle idee, della formulazione dei programmi, della indicazione di nuove strade da percorrere, e anche delle proposte inge­nue o velleitarie, il manifesto della cinema­tografia futurista costituisce un testo fondamentale per la storia delle avanguardie cine­matografiche. (GR)

La cinematografia futurista
(Manifesto futurista pubblicato nel 9° numero del giornale “L’Italia futurista”, Milano, 11 settembre 1916)
Il libro, mezzo assolutamente passatista di conservare e comunicare il pensiero, era da molto tempo destinato a scomparire come le cattedrali, le torri, le mura merlate, i musei e l’ideale pacifista. Il libro, statico compagno dei sedentari, degl’invalidi, dei nostalgici e dei neutralisti, non può divertire né esaltare le nuove generazioni futuriste ebbre di dinamismo rivoluzionario e belli­coso.
La conflagrazione agilizza sempre più la sensibilità europea. La nostra grande guerra igienica, che dovrà soddisfare tutte le nostre aspirazioni nazionali, centuplica la forza no­vatrice della razza italiana. Il cinematografo futurista che noi prepariamo, deformazione gioconda dell’universo, sintesi alogica e fuggente della vita mondiale, diventerà la mi­gliore scuola per i ragazzi: scuola di gioia, di velocità, di forza, di temerità e di eroismo. Il cinematografo futurista acutizzerà, svi­lupperà la sensibilità, velocizzerà l’immagi­nazione creatrice, darà all’intelligenza un prodigioso senso di simultaneità e di onni­presenza. Il cinematografo futurista colla­borerà così al rinnovamento generale, sosti­tuendo la rivista (sempre pedantedesca), il dramma (sempre previsto) e uccidendo il li­bro (sempre tedioso e opprimente). Le ne­cessità della propaganda ci costringeranno a pubblicare un libro di tanto in tanto. Ma preferiamo esprimerci mediante il cinema-
cinematografo, le grandi tavole di parole in libertà e i mobili avvisi luminosi.
Col nostro Manifesto “Il teatro sintetico futurista”, con le vittoriose tournées delle compagnie drammatiche Gualtiero Tumia­ti, Ettore Berti, Annibale Ninchi, Luigi Zoncada, coi 2 volumi del Teatro Sintetico Futurista contenenti 80 sintesi teatrali, noi abbiamo iniziato in Italia la rivoluzione del teatro di prosa. Antecedentemente un altro Manifesto futurista aveva riabilitato, glori­ficato e perfezionato il Teatro di varietà. E logico dunque che oggi noi trasportiamo il nostro sforzo vivificatore in un’altra zona del teatro: il cinematografo.
A prima vista il cinematografo, nato da po­chi anni, può sembrare già futurista cioè privo di passato e libero da tradizioni: in realtà, esso, sorgendo come teatro senza parole, ha ereditate tutte le più tradizionali spazzature del teatro letterario. Noi possia­mo dunque senz’altro riferire al cinemato­grafo tutto ciò che abbiamo detto e fatto per il teatro di prosa. La nostra azione è le­gittima e necessaria, in quanto il cinemato­grafo sino ad oggi è stato, e tende a rimanere profondamente passatista, mentre noi vedia­mo in esso la possibilità di un’arte eminen­temente futurista e il mezzo di espressione più adatto alla plurisensibilità di un artista futurista.
Salvo i films interessati di viaggi, caccie, guerre, ecc., non hanno saputo infliggerci che drammi, drammoni e drammetti passa­tistissimi. La stessa sceneggiatura che per la sua brevità e varietà può sembrare progredi­ta, non è invece il più delle volte che una pietosa e trita analisi. Tutte le immense pos­sibilità artistiche del cinematografo sono dunque assolutamente intatte.
Il cinematografo è un’arte a sé. Il cinemato­grafo non deve dunque mai copiare il palcoscenico. Il cinematografo, essendo essen­zialmente visivo, deve compiere anzitutto l’evoluzione della pittura: distaccarsi dalla realtà, dalla fotografia, dal grazioso e dal so­lenne. Diventare antigrazioso, deformatore, impressionista, sintetico, dinamico, paroli­bero.
Occorre liberare il cinematografo come mezzo di espressione per farne lo strumento ideale di una nuova arte immensamente più vasta e più agile di tutte quelle esistenti. Siamo convinti che solo per mezzo di esso si potrà raggiungere quella poliespressivita verso la quale tendono tutte le più moderne ricerche artistiche. Il cinematografo futurista crea ap­punto oggi la sinfonia poliespressiva che già un anno fa noi annunciavamo nel nostro manifesto: Pesi, misure e prezzi del genio arti­stico. Nel film futurista entreranno come mezzi di espressione gli elementi più svariati: dal brano di vita reale alla chiazza di colore, dalla linea alle parole in libertà, dalla musica cromatica e plastica alla musica di oggetti. Esso sarà insomma pittura, archi­tettura, scultura, parole in libertà, musica di colori, linee e forme, accozzo di oggetti e realtà caotizzata. Offriremo nuove ispira­zioni alle ricerche dei pittori i quali tendono a sforzare i limiti del quadro. Metteremo in moto le parole in libertà che rompono i limiti della letteratura marciando verso la pittu­ra, la musica, l’arte dei rumori e gettando un meraviglioso ponte tra la parola e l’og­getto reale.
I nostri films saranno:

1. Analogie cinematografate usando la real-
tà direttamente come uno dei due elementi dell’analogia. Esempio: Se vorremo espri­mere lo stato angoscioso di un nostro prota­gonista invece di descriverlo nelle sue varie fasi di dolore daremo un’equivalente im­pressione con lo spettacolo di una montagna frastagliata e cavernosa.
I monti, i mari, i boschi, le città, le folle, gli eserciti, le squadre, gli aeroplani, saranno spesso le nostre parole formidabilmente espressive: L’universo sarà il nostro vocabola­rio. Esempio: Vogliamo dare una sensazione di stramba allegria: rappresentiamo un drappello di seggiole che vola scherzando attorno ad un enorme attaccapanni sinché si decidono ad attaccarcisi. Vogliamo dare una sensazione di ira: frantumiamo l’iracondo in un turbine di pallottole gialle. Vogliamo dare l’angoscia di un Eroe che perdeva la sua fede nel defunto scetticismo neutrale: rappresentiamo l’Eroe nell’atto di parlare ispi­rato ad una moltitudine; facciamo scappar fuori ad un tratto Giovanni Giolitti che gli caccia in bocca a tradimento una ghiotta forchettata di maccheroni affogando la sua alata parola nella salsa di pomodoro.
Coloriremo il dialogo dando velocemente e simultaneamente ogni immagine che attra­versi i cervelli dei personaggi. Esempio: rappresentando un uomo che dirà alla sua don­na: sei bella come una gazzella, daremo la gazzella. — Esempio: Se un personaggio dice: Contemplo il tuo sorriso fresco e lumi­noso come un viaggiatore contempla dopo lunghe fatiche il mare dall’alto di una mon­tagna, daremo viaggiatore, mare, montagna. In tal modo i nostri personaggi saranno per­fettamente comprensibili come se parlassero.
2. Poemi, discorsi e poesie cinematografati. Faremo passare tutte le immagini che li compongono sullo schermo. Esempio: Canto dell’amore di Giosue Carducci:
“Da le rocche tedesche appollaiate
si come falchi a meditar la caccia… ” Daremo le rocche, i falchi in agguato. “Da le chiese che al ciel lunghe levando marmoree braccia pregano il Signor”
“Da i conventi tra i borghi e le cittadi cupi sedenti al suon de le campane
come cuculi tra gli alberi radi
cantanti noie ed allegrezze strane”
Daremo le chiese che a poco a poco si trasformano in donne imploranti, Iddio che dall’alto si compiace, daremo i conventi, i cuculi, ecc. Esempio: Sogno d’estate di Gio­sue Carducci:
“Tra le battaglie, Omero, nel carme tuo sem­pre sonanti / la calda ora mi vinse: chinommisi il capo tra ‘l sonno / in riva di Scamandro, ma il cor mi fuggì su ‘l Tirreno”
Daremo Carducci circolante fra il tumulto degli Achei che evita destramente i cavalli in corsa, ossequia Omero, va a bere con Aiace all’osteria dello Scamandro Rosso e al terzo bicchiere di vino il cuore di cui si de­vono vedere i palpiti gli sbotta fuori della giacca e vola come un enorme pallone rosso sul golfo di Rapallo. In questo modo noi ci­nematografiamo i più segreti movimenti del genio.
Ridicolizzeremo così le opere dei poeti pas­satisti, trasformando col massimo vantaggio del pubblico le poesie più nostalgicamente monotone e piagnucolose in spettacoli vio­lenti, eccitanti ed esilarantissimi.
3. Simultaneità e compenetrazioni di tempi e di luoghi diversi cinematografate. Daremo
nello stesso istantequadro 2 o 3 visioni dif­ferenti l’una accanto all’altra.
4. Ricerche musicali cinematografate (disso­nanze, accordi, sinfonie di gesti, fatti, colo­ri, linee, ecc.).
5. Stati d’animo sceneggiati cinematografati.
6. Esercitazioni quotidiane per liberarsi dalla logica cinematografate.
7. Drammi d’oggetti cinematografati (Ogget­ti animati, umanizzati, truccati, vestiti, pas­sionalizzati, civilizzati, danzanti — Oggetti tolti dal loro ambiente abituale e posti in una condizione anormale che, per contrasto, mette in risalto la loro stupefacente co­struzione e vita non umana).
8. Vetrine d’idee, d’avvenimenti, di tipi, d’oggetti, ecc. cinematografati.
9. Congressi, flirts, risse e matrimoni di smor­fie, di mimiche, ecc. cinematografati. Esem­pio: un nasone che impone il silenzio a mille dita congressiste scampanellando un orec­chio, mentre due baffi carabinieri arrestano un dente.
10. Ricostruzioni irreali del corpo umano ci­nematografate.
11. Drammi di sproporzioni cinematografate (un uomo che avendo sete tira fuori una mi­nuscola cannuccia la quale si allunga ombel­licalmente fino ad un lago e lo asciuga di colpo).
12. Drammi potenziali e piani strategici di sentimenti cinematografati.
13. Equivalenze lineari plastiche, cromatiche, ecc. di uomini, donne, avvenimenti, pensieri, musiche, sentimenti, pesi, odori, rumori cinematografati (daremo con delle linee bianche su nero il ritmo interno e il rit­mo fisico d’un marito che scopre sua moglie adultera e insegue l’amante — ritmo dell’a­nima e ritmo delle gambe).
14. Parole in libertà in movimento cinema­tografate (tavole sinottiche di valori lirici — drammi di lettere umanizzate o animalizza­te — drammi ortografici — drammi tipografici — drammi geometrici — sensibilità numerica, ecc.).
Pittura + scultura + dinamismo plastico + parole in libertà + intonarumori + ar­chitettura + teatro sintetico = Cinemato­grafia futurista.