Introduzione

La crisi del positivismo genera nella seconda metà dell’800 la civiltà decadente, in un contesto europeo dove ancora più forti stanno emergendo i contrasti prodotti dal capitalismo internazionale – il nazionalismo, l’imperialismo, il colonialismo, il socialismo –, con la nascita di movimenti culturali, correnti filosofiche e artistiche marcati dallo spiritualismo, dall’irrazionalismo, dall’intuizionismo e dal progmatismo, che hanno indubitabili influenze sulla sensibilità dell’individuo e quel che più conta sulla letteratura. Un atteggiamento fondamentalmente sensualistico – pessimistico, connotato da una sensibilità edonistico – estetizzante - attraversa la civiltà decadente che ha i suoi fondamenti nella filosofia di Schopenhauer e di Nietzsche, nella psicanalisi di Freud, nell’intuizionismo di Bergson e nell’esistenzialismo di Kierkegaard, intellettuali che non solo interpretano la crisi della civiltà e dei suoi valori, ma elaborano una nuova concezione della realtà, che ora si presenta incomprensibile, misteriosa, caotica, irrazionale; così come l’individuo che appare ripiegato su se stesso, malato, inetto, sofferente di solitudine e divorato dall’angoscia per la consapevolezza dello scacco, oppure esaltato, dominato dal maledettismo, dal sensualismo, dalle sensazioni e dalla voluptas, dalla libido mortis e dalla volontà di potenza: due facce comunque della stessa medaglia che è la coscienza della decadenza e della fine ( io mi sento come l’Impero ormai alla fine, scriveva Verlaine esprimendo la sua psicologia estenuata e accidiosa ) . L’arte, allora, e la letteratura nello specifico, virando rispetto al realismo e ai miti del positivismo ( progresso, fiducia nella ragione e nella scienza, sviluppo industriale e benessere diffuso ), registrano i moti dell’animo, si accostano un io dimidiato, all’inconscio, ai disagi dell’anima di un individuo la cui esistenza è contrassegnata da un ineliminabile dolore. La letteratura rappresenta dunque le manifestazioni abnormi della sensibilità decadente che è anzitutto rifiuto della civiltà borghese, capitalista e militarista, polemica verso una società che opprime l’uomo in strutture sociali e ideologiche conformiste. Tutta l’arte decadente si muove infatti sul piano dell’alterità, dell’inedito, dell’esotico, lontana dalla banalità della vita quotidiana e meschina.
All’interno della civiltà decadente si sviluppano, in Italia, il Crepuscolarismo e il Futurismo che da prospettive assai differenti si presentano come le manifestazioni più palesi della crisi a cavallo tra ‘800 e ‘900, meglio come il tentativo di interpretare l’esprit nuoveau di una società che, sotto l’alibi della bella époque, sta sconfinando nelle tragedie della prima guerra mondiale, della rivoluzione russa, della lotta tra socialismo e capitalismo. I due movimenti allora in un gioco di agganci e rifiuti della tradizione poetica italiana, riconsiderano il ruolo della poesia, la figura e il ruolo dell’intellettuale e del poeta nella società, snodandosi attraverso lo smantellamento della figura del poeta vate e della poesia come veicolo di gnosi del mondo o del mistero, come instrumentum elaborativo di valori morali, religiosi, politici, civili ( Crepuscolarismo ), oppure sull’opposto versante Futurista come strumento per esaltare in una ebbrezza ottimistica l’era industriale, la bellezza della tecnica e della tecnologia, del movimento, della macchina, della corsa. Entrambi i movimenti tuttavia, di là delle punte provocatorie e dissacranti del futurismo, sono lontani dalle manifestazioni esasperate del decadentismo europeo ( che prediligeva la carne, la morte e il diavolo per dirla con il titolo di un famoso saggio di Mario Praz ); certo sia il crepuscolarismo che il futurismo faranno le loro belle rivoluzioni, soprattutto linguistiche, all’interno di una storia della poesia nostrana lontana ancora dalla modernità dei modelli europei.